Da Federcasse
14/06/2017
I beni comuni delle BCC. Una nuova mutualità tra Gruppi? L'articolo del Dg Federcasse, Gatti pubblicato nel mensile Credito Cooperativo

Riportiamo, di seguito, l’articolo del Direttore di Federcasse, Sergio Gatti, pubblicato nella rubrica Bisbetica della rivista Credito Cooperativo di aprile 2017.

Sergio Gatti
sgatti@federcasse.bcc.it

 

Mercoledì 14 maggio 1947. La seduta dell’Assemblea Costituente inizia alle 9,00 del mattino. All’ordine del giorno l’approvazione dell’art. 42, poi divenuto art. 45, della futura Costituzione della Repubblica italiana. Presiede la seduta il vicepresidente dell’Assemblea costituente, l’on. Tupini. Al termine di una discussione alla quale partecipano, tra gli altri, gli on. Cimenti, Canevari, Dominedò, Einaudi e della votazione di una serie di emendamenti, l’articolo prende la forma che conosciamo: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere mutualistico e senza fini di speculazione privata. La legge ne favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura il carattere e le finalità attraverso gli opportuni controlli”. Le 15 pagine di resoconto della seduta (scarica qui il pdf del resoconto) consentono di rivivere almeno un po’ la passione e la competenza dei padri costituenti, valorizzando ancora di più quelle quaranta parole che costituiscono una radice vitale. .

Oggi l’economia cooperativa è un pezzo di Italia indispensabile. Ha soddisfatto almeno una parte degli auspici di Luigi Einaudi quando scriveva che “Solo se le popolazioni oseranno trovare attraverso lo strumento associativo e cooperativo le soluzioni ai problemi della popolazione, del consumo e del credito potremo sperare di vedere sollevate dalle più basse e disperate condizioni intere aree della penisola”.

Maggio 2017. Settanta anni dopo, il Credito Cooperativo italiano - che in quell’art. 45 ha trovato linfa ideale e fondamento giuridico alle regole che ne hanno disciplinato l’attività - dibatte sul come attuare una riforma complessa. E potrebbe vedere cristallizzata una divergenza di sentieri, non di orizzonti. Tra gennaio e maggio di quest’anno, i percorsi di preparazione dei consigli di amministrazione e delle assemblee dei soci delle BCC che hanno espresso il proprio orientamento di adesione ad un gruppo bancario cooperativo piuttosto che un altro hanno conosciuto momenti intensi, in alcuni casi aspri.
Ora che il mese di maggio è finito, quell’identità culturale d’impresa mutualistica che la Costituzione tutela e promuove e che si è riusciti a non far cancellare né attenuare dalla riforma del 2016, andrà dimostrata - per legge - sia a livello di singola BCC, sia fra le BCC, sia fra queste e la Capogruppo (“Il contratto di coesione contiene previsioni volte a riconoscere e salvaguardare le finalità mutualistiche delle BCC, sostenendone la capacità di sviluppare lo scambio mutualistico con i soci e l’operatività nei territori di competenza” - Disp. di Vigilanza Banca d’Italia - sez. III, paragrafo1.8).

Ma non suonerebbe strano saper vivere e dimostrare a livello di singola BCC questa coerenza cooperativa e non riuscirvi invece a livello di relazioni fra i Gruppi Bancari Cooperativi?

Posta come inevitabile la concorrenza (possibilmente leale) nei mercati locali, sarà conveniente impostare la relazione tra i diversi GBC avendo in mente che si è uniti da radici comuni, obiettivi pure comuni e interessi almeno in parte comuni. Che il rispetto delle idee altrui è possibile, che forme alte di collaborazione sono realizzabili per difendere meglio quei princìpi e quegli interessi condivisi. Sempre ricordando la ragione della reale esistenza del Credito Cooperativo: creare vantaggi per soci e i clienti, portare cambiamento che generi sviluppo integrale e durevole.

UNA “COMPETIZIONE COOPERATIVA”?
Una competizione di tipo cooperativo, di genere nuovo, può essere tra gli obiettivi strategici dei Gruppi Bancari Cooperativi. Dovrebbe essere interiorizzata e interpretata proprio da Gruppi Bancari Cooperativi, posseduti da cooperative che sono obbligatoriamente in gruppo perché è lo strumento individuato, oggi, dal legislatore come la dimensione di collaborazione per eccellenza.
I dilemmi da affrontare, come sappiamo, accompagnano le scelte. Ma esiste il “risultato cooperativo” che sarebbe il migliore, il più conveniente, il più redditizio per tutti i soggetti in campo.
Per arrivarci bisogna passare per il rischio della fiducia. Se mancano fiducia, capacità di darla e di meritarla, si precipita nella paralisi delle diffidenze e nella soluzione non cooperativa. La meno conveniente per tutti.
Ogni GBC dovrà generare al proprio interno una quantità sufficiente (ma non stabilita per legge) di “capitale sociale”: ovvero di fiducia reciproca, di reti e relazioni collaborative informali, di aiuto vicendevole, di volontà di cooperare fra BCC e fra BCC e Capogruppo. Non perché lo impone la norma, ma, più semplicemente, perché è indispensabile e conveniente. Le norme primarie, secondarie, contrattuali, interne sono imprescindibili e vanno scritte e interpretate al meglio. Ma non bastano, lo sappiamo.

RESTA IL PERCHÉ SI SONO CREATI I GRUPPI?
I GBC avranno una forte necessità di investire sul know how.
Conoscenze e competenze ora nuove, ora diverse, ora rivisitate. Ma l’investimento più grande e più rilevante resta quello del know why, del tornare costantemente a rivitalizzare il fine ultimo di complesse macchine che si vanno costruendo. Creare lavoro legale e sempre più qualificato nei territori, contrastare le diseguaglianze, invertire il declino demografico, scegliere il benessere sostenibile costituiscono le risposte a quei “perchè”, il senso stesso dei nascenti GBC. Al servizio delle singole BCC che a livello locale si pongono con chiarezza quegli obiettivi e li realizzano in modi diversi perché in contesti diversi. Se quel senso viene meno, resta il fare banca per fare banca. Onorevole attività, ma insufficiente rispetto agli obiettivi di mutualità. Sarebbe più coerente, a quel punto, sbarazzarsi del mantello cooperativo.

UNA QUINTA RECIPROCITÀ È NECESSARIA.
Proviamo a immaginare che il ventaglio dei rapporti degli scambi mutualistici si arricchisca di un quinto “tipo” di relazioni.

La prima, la mutualità tra soci.
La seconda,quella dentro la comunità.
La terza verso i soggetti affiliati o controllati dal Gruppo di appartenenza.
La quarta è quella verso i giovani, la mutualità intergenerazionale.
La quinta è quella fra Gruppi Bancari Cooperativi.

Sono davvero tanti e rilevanti i “beni comuni” costruiti nel Movimento delle BCC lungo i decenni. Gli strumenti, gli istituti, le competenze specialistiche progettati, creati e consolidati, frutto di strategie di autogoverno e di auto-organizzazione, di gestione collettiva (diretta o delegata). Hanno generato e generano valore economico, culturale, sociale. Hanno prodotto utilità non divisibili, esternalità positive, in alcuni casi eccellenze riconosciute a livello europeo.

Le relazioni di mutualità tra Gruppi Bancari Cooperativi potranno consolidare quei “beni comuni”, modernizzarli, crearne di nuovi. Sono in linea con quell’art. 45 che compie in questi giorni 70 anni. E con gli interessi di lungo periodo delle cooperative bancarie mutualistiche e dei loro soci.